Per molti dei nostri ragazzi c’è ormai aria di vacanza, il che significa che anche un altro anno oratoriano sta arrivando al termine. Di cose in parrocchia, come già ricordato altrove, ne sono state fatte molte, tuttavia mi piacerebbe condividere con voi un racconto tratto dalla vita di don Bosco in cui emerge quello che, a mio avviso, dovrebbe essere lo stile di ogni vero educatore cristiano e in cui, spero, possano rispecchiarsi sia i vari collaboratori della nostra Comunità, ma anche tutti coloro che che portano nel cuore il desiderio di annunciare il Vangelo.
Prima che iniziate a leggere vi avviso che la lingua è un po’ antiquata ma che tutto sommato scorre bene. E poi vi faccio uno spoiler: la storia non finisce proprio nel migliore dei modi, però lo stile e l’arguzia di don Bosco sono veramente impagabili ed esemplari!
Emanuele Lietti
Una sera di Aprile del 1847 Don Bosco, essendosi dovuto fermare più a lungo in città presso un malato, veniva a casa tardi passando pei prati, detti in allora i prati di cittadella, coperti oggidì di superbi palazzi. Quando egli fu presso ai quartieri sulla via di Dora Grossa (ora via Garibaldi) e a principio del Corso Valdocco, eccoti un crocchio di circa 20 giovinastri dal primo pelo, ignari ancora di Don Bosco e dell’Oratorio, i quali, scorto un prete che veniva alla loro volta, cominciarono a gettare frizzi poco gentili. – I preti sono tutti avari, diceva uno. – Sono superbi ed intolleranti, soggiungeva un altro. – Facciamone la prova con quello là, gridò un terzo; e via dicendo.
A queste voci poco lusinghiere Don Bosco aveva preso a rallentare il passo; egli avrebbe voluto evitare quel circolo, ma accortosi che non era più in tempo, tirò innanzi, e vi s’introdusse coraggiosamente. Non dandosi per inteso di averli uditi:
– Buona sera, cari amici, disse loro: come state?
– Poco bene, signor Teologo, rispose il più audace; abbiamo sete, e non abbiam quattrini; ci paghi Lei una pinta.
– Sì, sì, ci paghi una pinta, signor Abate, gridarono tutti gli altri con isquarciata voce: una pinta, una pinta, altrimenti non lo lasciamo più andare. – In così dicendo lo accerchiarono siffattamente, che era impossibile dare un passo.
– Ben volentieri, disse allora il buon prete, ben volentieri io ve la pago; anzi, stante il numero in che siete, ve ne pagherò anche due; ma voglio bere anch’io con voi.
– Si figuri! signor Teologo, s’intende. Oh! che buon prete è Lei! Oh! se tutti fossero così. Andiamo adunque, andiamo all’albergo delle Alpi qui vicino.
E a Don Bosco fu giuocoforza accompagnarsi con quei disgraziati, e per evitare maggiori guai, e per vedere se mai gli riuscisse di far loro qualche bene all’anima.
Ognuno può immaginarsi che spettacolo fosse quello! Un prete in un albergo, cinto da cotale corona! All’entrare tutti fecero tanto di occhi; ma quanti si trovavano colà presenti, non tardarono a sapere chi fosse quel prete, e perché vi fosse, e niuno ne prese scandalo.
Chiamato l’oste, Don Bosco mantenne la data parola, e fece portare una e poi un’altra bottiglia ancora. Quando vide i suoi monelli alquanto esilarati, e fattisi più mansueti e benevoli, egli disse loro: – Ora voi dovete farmi un piacere.
– Dica, dica, signor Don Bosco (aveva già loro manifestato il proprio nome), dica pure, non solo un piacere, ma due, ma tre gliene faremo, perché d’ora innanzi vogliamo essere suoi amici.
– Se volete essere miei amici, voi dovete farmi il piacere di non più bestemmiare il nome di Dio e di Gesù Cristo, come taluni hanno fatto in questa sera.
– Ha ragione, rispose uno dei bestemmiatori, ha ragione, signor Don Bosco. Che vuole? Talora la parola ci scappa senza che ce ne accorgiamo; ma per l’avvenire non sarò più così, e ce ne emenderemo mordendoci la lingua. Lo stesso promisero gli altri.
– Bene; io ve ne ringrazio e me ne parto contento. Domenica poi vi aspetto all’Oratorio. Ora usciamo di qui, e voi da bravi giovinotti recatevi ciascuno alla propria casa.
– Ma io non ho casa, prese a dire uno di loro; ed io nemmeno, aggiunse un secondo; e così parecchi altri.
– Ma dove andavate a dormire alla notte?
– Talvolta presso a questo o a quell’altro stalliere insieme coi cavalli dell’albergo; tale altra al dormitorio comune, dove si dorme per quattro soldi; e qualche notte in casa di un conoscente ed amico.
Don Bosco si accorse ben tosto del pericolo di immoralità in cui versavano quei poverini, la maggior parte forestieri, e quindi soggiunse: – Allora facciamo così: quelli che hanno casa e parenti se ne vadano; – e intanto li salutò, ed essi se ne partirono; – gli altri vengano con me.
Ciò detto, riprese la via di Valdocco, seguito da dieci o dodici di quei meschini, poiché per istrada se ne erano aggiunti altri sei:
Arrivato all’Oratorio, dove la madre lo aspettava ormai con ansietà, Don Bosco fece recitare a’ suoi ospiti il Pater noster e l’Ave Maria, che avevano quasi dimenticato; poi per una scala a piuoli li condusse sul mentovato fienile; diede a, ciascuno un lenzuolo ed una coperta, ed infine raccomandato loro il silenzio ed il buon ordine, ed augurato una felice notte, discese di colà, contento di aver dato principio, come ei si credeva, al divisato Ospizio.
Ma non era di cotal gente, che la divina Provvidenza voleva servirsi per gettare le fondamenta di un sì magnifico edifizio (N.d.R. il convitto dell’Oratorio), e Don Bosco ebbe a persuadersene fin dall’indomani. Infatti al mattino appena giorno egli esce di camera per vedere i suoi giovinotti, dir loro una buona parola e invitarli che si rechino ciascuno al lavoro presso al proprio padrone. Fattosi nel cortile, egli non ode il minimo rumore. Credendo che fossero tutt’ora immersi nel sonno, sale per isvegliarli; ma quei bricconi si erano alzati due ore prima, e se l’erano chetamente svignata, portando via lenzuola e coperte per andarle a vendere.
Il primo tentativo di un Ospizio andava dunque fallito, ma non falliva la buona volontà di colui, che n’era da Dio incaricato.